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sabato 26 ottobre 2019

La voglia di studiare (di nuovo) la lingua geniale (il greco antico)

Cantami, o Diva,
dei paradigmi ormai dimenticati,
di quelle preziose ed eleganti lettere un po' annebbiate.


Improvvisamente una lettura ti riporta indietro nel tempo, di anni, di una vita.


La semplice parola aoristo ti fa tornare seduta a un banco, davanti a una lavagna sporca di gesso, ma soprattutto il pensiero torna ad Achille ed Ettore, a Odisseo e il suo vagare, a Saffo e la sua gelosia.


La Lingua Geniale
di Andrea Marcolongo:
"Innanzitutto questo libro parla di amore: il greco antico è stata la storia più lunga e bella della mia vita. Non importa che sappiate il greco oppure no. Se sì, vi svelerò particolarità di cui al liceo nessuno vi ha parlato, mentre vi tormentavano tra declinazioni e paradigmi. Se no, ma state cominciando a studiarlo, ancora meglio. La vostra curiosità sarà una pagina bianca da riempire. Per tutti, questa lingua nasconde modi di dire che vi faranno sentire a casa, permettendovi di esprimere parole o concetti ai quali pensate ogni giorno, ma che proprio non si possono dire in italiano. Ad esempio, i numeri delle parole erano tre, singolare, plurale e duale - due per gli occhi, due per gli amanti; esisteva un modo verbale per esprimere il desiderio, l'ottativo, e non esisteva il futuro. Insomma, il greco antico era un modo di vedere il mondo, un modo ancora e soprattutto oggi utile e geniale. Non sono previsti esami né compiti in classe: se alla fine della lettura sarò riuscita a coinvolgervi e a rispondere a domande che mai vi eravate posti, se finalmente avrete capito la ragione di tante ore di studio, avrò raggiunto il mio obiettivo."







venerdì 31 marzo 2017

E se… Come sarebbe un amore se potesse sopravvivere

Chagall - Il compleanno
Le parole che ospito in questo post sono quelle di Flavia Cantini. Una nostalgia lucida, una serie di domande sulla quotidianità di un amore che in fondo s'incontrano tutte nello stesso interrogativo: come sarebbe stato quel sentimento se fosse sopravvissuto?

"Mi chiedo spesso cosa sarebbe potuto essere di un amore incompiuto. Uno di quegli amori che muoiono prima del tempo, forti e in giovane età, uccisi brutalmente da uno dei due innamorati.

Non posso fare a meno di chiedermi cosa sarebbe accaduto se quell'amore avesse potuto vivere.
Chissà... Quanti progetti, quanti sogni, quanti giorni di Natale trascorsi insieme, quanti inverni ed estati.
E poi quanti viaggi, quante serate di Capodanno, quante notti in riva al mare ad ascoltare lo sciabordio delle onde osservando la luna...
E quante persone nuove avrebbe fatto conoscere quell'amore, quante esperienze, scambi di idee e opinioni, sorrisi, costruttivi confronti...
Mi domando come sarebbe stato se quella storia incompiuta avesse potuto snodarsi naturalmente attraverso i giorni e gli anni che le erano stati concessi. Se uno dei due non avesse detto "Basta". Se tutte le promesse fossero state mantenute.
Io sono qui a interrogarmi su quanto ci avrebbe arricchito vivere quell'amore che era nato e che, come tale, aveva diritto di crescere e maturare.
Avremmo organizzato quel viaggio? Cosa avremmo fatto il giorno dei nostri compleanni? Come sarebbe stato festeggiare insieme?
Fa così male quando qualcosa finisce all'improvviso, quando viene spezzato sul più bello. Non è possibile rassegnarsi all'incompiuto.
Troppe domande, troppi sogni. Troppo che non è stato vissuto ma è stato soltanto intravisto all'orizzonte, di sfuggita.
È come vedere un ricchissimo buffet sistemato in un salone. Ti aprono la porta, tu vedi sui tavoli centinaia e centinaia di portate, invitanti e golose. Puoi vedere gli antipasti, i primi piatti, poi i secondi piatti e, là in fondo, tutti i tuoi dolci preferiti. Già li pregusti, eccome se li pregusti!
Ti avvicini al tavolo degli antipasti, ne assaggi qualcuno e poi, all'improvviso, vieni afferrato per le spalle e sbattuto fuori dalla sala. La porta si chiude con un boato ed è inutile bussare. Nessuno apre più.
È assurdo: hai visto tutte le prelibatezze là apparecchiate, sai cosa ti perdi. Non hai fatto neanche in tempo ad assaggiare tutti gli antipasti! Come puoi dimenticare quei dolci là in fondo?
Ecco, è la stessa cosa con un amore spezzato prima del tempo.
Troppe, troppe sono le situazioni e le emozioni rimaste sospese. Il cuore non dimentica.
Saremmo stati al cinema a vedere quel film? Dimmi, saremmo partiti per una vacanza estiva? Avresti condiviso con me i tuoi dubbi più profondi? Di che cosa avremmo parlato?
Chissà come sarebbe stato condividere ogni attimo di un intero anno. Come sarebbe stato vedere le stagioni passare sui nostri volti e farci maturare ogni giorno un po’ di più.
Vorrei sapere come sarebbe stata la mia vita accanto alla tua, vorrei poter scorgere, anche soltanto in sogno, la casa in cui avremmo abitato io e te. Con quale stile l'avremmo arredata?
Dove ci avrebbe condotto la vita insieme? In quale regione, la mia o la tua? O forse una nuova, da conoscere giorno per giorno mano nella mano?
Quante cose sospese... Quante cose che non accadranno mai ma erano pronte ad accadere.
E chissà dove si nasconderà ora quel futuro già disegnato e già stabilito. Ora che non può più materializzarsi.
Che strana la Vita.
Ti sarebbe piaciuto il mio cane? Oh, io credo proprio di sì. Vi sareste piaciuti a vicenda. E lo avremmo adottato un cane nostro?
Cosa mi avresti insegnato tu? Cosa ti avrei insegnato io?
Il condizionale è un modo del verbo strano: da un lato ti apre alla potenzialità, dall'altro a tutto ciò che non è accaduto.
E se...?"

Questo racconto in anteprima fa parte di una raccolta di racconti e riflessioni che sarà disponibile su Amazon a partire dal 2 Aprile.

Tra le opere di Flavia Cantini c'è anche il romanzo Il Professionista (Lettere Animate editore): un romanzo, drammatico e crudo, ambientato nell'attuale crisi economica. In un ambiente povero e senza prospettive di lavoro e riscatto in cui, per sopravvivere, un giovane è costretto a compiere una tragica scelta.

Un romanzo in cui, tuttavia, un lavoro spietato si mescola a buoni sentimenti e al valore di un'amicizia che, nonostante tutto, resiste al peggio.

Per scoprire di più su Flavia Cantini: 
http://flaviascrittrice.blogspot.be/




mercoledì 30 novembre 2016

Lui il dolce non lo prende mai - di Ileana Moriconi

Foto di Alessia Damiani
Parole di altri è una nuova rubrica dove ospito racconti di altri scrittori.
Il primo racconto che accolgo è di Ileana Moriconi, una scrittrice che prende parte al progetto Spazinclusi, un collettivo di scrittura e condivisione:
 http://www.spazinclusi.org/chi-siamo/



Devo essere bella. Appena mi vedrà dovrà pensare che in confronto a me le altre donne della sala scompaiano. Non può non pensarlo.
Sono qui, su questa nave, per lui e probabilmente anche lui è qui per me. Dev’essere sicuramente così. Certo, dall’ultima volta che ci siamo visti ne è passato di tempo. Sessantacinque lunghissime ore di distanza. Un incubo.
Molte volte ho avuto la tentazione di chiamarlo e spesso ho ceduto. Il telefono squillava, per due, tre, quattro, cinque, dieci volte, poi la sua voce si affacciava nella mia mente e io restavo come paralizzata. Riattaccavo. Cosa potevo dirgli? Avevo il vuoto nella testa, qualunque possibile frase sembrava dissolversi nella sua banalità.
E questa era la parte migliore. Poi c’erano tutte le telefonate in cui lui non rispondeva. E allora sì che era dura. L’eco sordo e artificiale che si ripeteva, ancora e ancora, esattamente per tredici volte, numero massimo oltre il quale il telefono si arrende.
Io no. In quei casi restavo in attesa che mi richiamasse, sempre invano. Ma io so il perché, è semplice. Lui non può richiamarmi altrimenti lei lo scoprirebbe. Lei. Quella donna insignificante con cui passa le giornate, tutte uguali, per non parlare delle serate. Come stupirsi che lui voglia di più! È stato fortunato, ha trovato me.
Io gli do le attenzioni di cui ha bisogno un uomo del suo spessore, non gli faccio mancare niente. Però dobbiamo stare attenti, soprattutto lui. Sono certa che più di una volta lei lo abbia scoperto e lo abbia costretto a rispondere ai miei messaggi con frasi assurde. Come quella notte: mi svegliai di colpo e d’istinto gli scrissi un messaggio con il cellulare.
“Ti ho sognato, è stato un incubo. L’idea di perderti mi tormenta. Ti amo”.
La sua risposta mi sorprese. “Smetti di scrivermi o ti denuncio”.
Poi capii. Era stata lei. Aveva sentito il cellulare squillare, glielo aveva strappato dalle mani con i suoi modi da arpia, e aveva risposto al messaggio.
Ma è un’illusa se pensa basti così poco a scoraggiarmi. Infatti, da quella notte, io e lui continuiamo a sentirci di nascosto. Lui mi ama attraverso il suo modo di rispondere al telefono, con quella dolcezza nella voce che traspare ad ogni “Chi è?”, ripetendolo più volte nella segreta speranza di ottenere una risposta. Ma nei nostri silenzi c’è molto più dello squallore delle parole. Le frasi, le domande, le risposte, tra noi non servono. È inutile parlarci, basta molto meno per capirci. Lui legge i miei messaggi, io lo so, e posso immaginare i sorrisi che gli provocano e che cerca di reprimere per proteggermi.
Perché lui mi ama, e se continua a portare avanti questa farsa con lei è solo per difendere me e il mio mondo.
Ma su questa nave lei non c’è. E oggi lui potrà essere solo mio.
Sta mangiando insieme ad alcuni amici e io continuo a osservarlo. Fa finta di niente, sta cercando di mantenere le apparenze. Di sicuro i suoi amici conoscono anche lei e sarebbe pericoloso uscire allo scoperto proprio adesso. È furbo, riesce a evitare persino di guardare nella mia direzione. Io non ne sono capace e continuo a fissarlo.
Ammiro il suo buon gusto in fatto di scelte in cucina – come in tutto il resto – e mi lascio guidare da lui per le ordinazioni. Come antipasto ha chiesto al cameriere un’insalata di mare. Ottima scelta, la prendo anch’io. Mangio lentamente per non finire prima di lui. Lo aspetto, sceglieremo insieme. Ecco, ha finito. Chiama il cameriere e cerco di capire cosa gli chieda dal movimento delle labbra. Una coppia, in cerca del proprio tavolo, attraversando la sala mi copre la visuale e Federico scompare. È un istante ma sembra durare un’eternità. Gli orologi si fermano e la musica tace, portando con sé le luci della sala e l’eleganza trasudata dalla nave in festa. Il mio cuore al contrario accelera, vorrebbe superare con rapidità questo momento ma il tempo è nemico e stenta a rimettersi in moto. Finalmente la coppia si siede e riesco a respirare di nuovo, mentre la nave torna a brillare e la musica riparte insieme al ticchettio degli orologi.
Per calmarmi del tutto ho bisogno di bere. Mi sembra una buona mossa su ogni fronte, mi farà guadagnare tempo mentre gli arriva il primo piatto e io lo possa ordinare. Scommetto che avrà scelto il suo preferito, risotto alla crema di scampi. Lo conosco troppo bene.
Arriva il risotto, come previsto, con lui non sbaglio mai. Del resto è anche il mio piatto preferito da quando lo conosco e lo ordino al cameriere. Il ragazzo accanto a me cerca di coinvolgermi nella conversazione intavolata con gli altri ospiti, ma io rispondo a monosillabi sperando che si arrenda. Sono troppo concentrata su Federico, non voglio perdermi niente. Non so cosa prenderà per secondo e non mi vengono pronostici. E se lo conoscessi meno di quanto creda? Devo rimediare. D’ora in poi, ogni volta che pranzeremo insieme, potrei fargli delle foto. Da questa distanza, quella scelta di solito per sentirci sicuri, dovrebbero venire bene. Potrei cominciare da subito. O forse no, se i suoi amici se ne accorgessero rovinerei tutto proprio ora.
Il cameriere gli porta una grigliata mista. Hanno ordinato tutti insieme e la dividono. Anche se l’avessi fotografato questa informazione non mi sarebbe servita, ho fatto bene a evitare il rischio.
Ora mancano solo il caffè e un amaro. Dopo potremo uscire fuori a prendere una boccata d’aria, tanto lui il dolce non lo prende mai.
Lo precedo fuori dalla sala ristorante, faccio due passi da sola prima che lui mi raggiunga. Mi godo l’aria fresca sulla pelle, il lento scorrere della nave sulle onde, tenendo d’occhio l’accesso al ponte. Oggi il mare sembra essere indeciso. È agitato ma non abbastanza da diventare mosso. Le ripetute onde lo increspano senza mai arrivare a smuoverlo davvero. La superficie appare accarezzata dal vento mentre chissà quali incontri di correnti nasconde. È una distesa in cui ogni onda segue la sua simile e a sua volta viene seguita, muovendosi con metodo, senza mai riuscire a incontrarsi.
Sento un urto e qualcosa mi cade.
“Mi scusi” mi dice, raccogliendomi la borsetta.
Lo guardo e tornano la paralisi e la bocca secca. Il mare mi ha distratta per un attimo dall’obiettivo. Mi sforzo.
“Non preoccuparti”. È tutto quello che riesco a dire, prima di voltarmi di nuovo verso quel mare che è l’unico a sapermi fare compagnia.
Mi ha parlato. In codice, certo. Eravamo soli ma non si sa mai. Federico ci tiene a salvare le apparenze. Vuole proteggermi, per lui è la cosa più importante.
Però mi ha parlato. Sorrido. Lo sapevo, nemmeno lui riesce a starmi lontano.


In ogni parola di questo racconto ritrovo amore, ossessione e il controllo di essi. L'equilibrio perfetto della forma e dello stile di ogni frase descrivono bene i sentimenti della protagonista, anch'essi in equilibrio, ma solo apparentemente.
Un crescendo d'informazioni in una calma apparente, come quella del mare "agitato ma non abbastanza da diventare mosso"; un racconto che narra una situazione e uno stato d'animo che per il momento sono agitati, ma non ancora mossi.

Per leggere più racconti di Ileana Moriconi, v'invito a visitare il sito di Spazinclusi:
http://www.spazinclusi.org/